Gli studenti universitari sono sempre più attanagliati da pressione sociale, aspettative dei genitori, paura del fallimento. Fattori, questi, che innescano un disagio molto più generalizzato di quanto ci raccontino le tragedie a cui purtroppo assistiamo periodicamente. Circa 1 universitario su 3, infatti, ammette di aver mentito almeno una volta alla famiglia sul reale andamento della sua carriera di studi. E, cosa ancora più allarmante, in circa la metà dei casi - si parla del 16% del totale - la bugia è sistematica e accompagna l’intero, ipotetico, ruolino di marcia.

A disegnare questo quadro tutt’altro che rassicurante è il portale Skuola.net, che nelle scorse settimane ha interpellato 1.100 ragazze e ragazzi attualmente iscritti all’università. Cercando, attraverso le loro storie, di fare luce su un tema spesso sottovalutato. La miccia, come detto, molte volte è innescata dall’idea che qualche passo falso possa deludere chi ha scommesso su di loro. In primis la famiglia: circa 1 “bugiardo” su 4 dice di aver nascosto la realtà dei fatti per tranquillizzare i propri genitori. C’è, però, pure chi è stato quasi costretto a mentire: circa 1 su 5 lo ha fatto per evitare lo scontro in casa. Mentre 1 su 10 è ricorso alla bugia per la vergogna di non essere all’altezza del compito che gli è stato affidato. A volte si inizia senza un motivo specifico: 1 su 3 inizia con piccole bugie apparentemente innocue per allentare la pressione, salvo poi ritrovarsi in una realtà parallela che, per 1 su 10, diventa una sceneggiatura dalla quale è impossibile tornare indietro e che richiede di continuare a mentire. Sta di fatto che, alla fine, quasi i tre quarti di loro (72%) confessano che genitori, parenti e amici non hanno un’idea chiara di quale sia il proprio rendimento negli studi. Una situazione che, troppo spesso, si prolunga più del dovuto: il 5% di chi si è infilato nel vortice della bugia la sta portando fino alle soglie della laurea, facendo intendere che la data della discussione della tesi sia ormai prossima, quando invece è abbastanza lontana; un altro 10%, analogamente, ha dato l’impressione di aver sostenuto più esami di quelli che ha effettivamente dato. Questi sono i casi più preoccupanti, perché sono quelli più prossimi a deflagrare in una situazione di crisi. Ampiamente rappresentati, poi, sono quelli che nascondono la reale media dei voti: sono il 38% e, a questo punto, sembrano quasi i meno esposti al crollo emotivo. A completare il quadro delle bugie più diffuse, c’è poi un 26% che ha sorvolato su una o due bocciature o su qualche voto basso, mentre il 16% sulla frequenza delle lezioni. Stando così le cose, peccati davvero veniali. Il vero problema, però, è che una volta entrati in quella dimensione fatta di “non detti” e di mezze verità, difficilmente se ne esce. Non tanto per quelli che, prima o poi, sono stati smascherati, quantomeno parzialmente: si tratta di poco più della metà dei mentitori seriali (53%), per i quali l’impatto con la realtà è stato quasi una liberazione, visto che quasi sempre trovano comprensione e supporto attorno a loro. La situazione è pesante soprattutto per quel 47% per i quali il travestimento è rimasto ancora in piedi. Quando ciò accade, nella maggior parte dei casi, il castello delle bugie finisce infatti per diventare insostenibile: solamente 1 su 3 afferma di essere nel pieno controllo della situazione. Tutti gli altri sono di fronte a un vicolo cieco: un terzo scarso (32%) vorrebbe vuotare il sacco ma non riesce a trovare il coraggio, un altro terzo abbondante (35%) è convinto che ormai la situazione gli sia sfuggita di mano e non si possa tornare indietro. Ecco perché, se a un certo punto le bugie venissero scoperte, ben un quarto (25%) si farebbe prendere dalla disperazione. Non a caso, la stessa percentuale (25%) confessa di aver addirittura pensato all’estremo gesto o perlomeno a qualcosa di eclatante per dare un segnale indiretto del proprio disagio. Un altro 24%, invece, resterebbe impietrito dallo spavento, ma poi reagirebbe. Un consistente 16%, sulle prime, si sentirebbe letteralmente umiliato, il 13% dispiaciuto. Solamente il 22% affronterebbe la questione, almeno in teoria, in modo freddo, chiedendo scusa, senza rimuginarci su. Ma il fenomeno delle aspettative deluse degli universitari è assai più ampio. E coinvolge anche chi sembra non voler cedere alla corte della menzogna, reggendo la pressione. Che comunque si avverte ed è una cosa con cui quotidianamente le ragazze e i ragazzi devono fare i conti. Considerando il campione totale, il 31% racconta di sentire il fiato sul collo da parte della propria famiglia. Il 43% avverte addirittura una vera e propria “pressione sociale”, generata dalle classiche frasi come “Quando ti laurei?” o “Quanti esami ti mancano?”. Oltre 3 su 10, inoltre, segnalano di non sentirsi affatto a proprio agio in questa condizione: il 10% è stato quasi obbligato a fare l’università dal contesto in cui vive, mentre il 21% avrebbe voluto intraprendere un altro percorso accademico. E, anche chi ha fatto una scelta consapevole e autonoma, molto di frequente si accorge di aver sbagliato strada: tra questi oltre 2 su 3 hanno pensato di mollare.  Come aiutare questi giovani, specie quelli in difficoltà? Dall’esterno sembra che la soluzione più adatta passi attraverso il potenziamento del supporto psicologico da parte degli atenei. Ma i diretti interessati non sono della stessa opinione. Solamente per il 15% è quella la chiave di volta. I più, invece, lavorerebbero proprio sulle famiglie, per far comprendere alle più competitive che una laurea non è per forza sinonimo di successo: la vede così ben il 46% degli intervistati. Mentre il 31% si concentrerebbe sull’altro fronte, quello delle università, invitando la comunità accademica a un approccio più umano e comprensivo agli studi. “Non possiamo più nasconderci e aspettare di piangere la prossima vittima, il fenomeno delle “menzogne accademiche” è molto più diffuso di quanto si possa pensare e non accenna a diminuire: gli studenti che arrivano a mentire alle proprie famiglie sono circa un terzo del totale, in linea con quanto rilevato sempre da Skuola.net nel 2018 a seguito di un’altra ondata di suicidi fra gli universitari. In questi cinque anni non è cambiato praticamente nulla, anzi le famiglie hanno continuato a pianificare la “doppietta” liceo-università in barba alle reale aspirazioni dei figli e ai bisogni del mercato del lavoro. E il paradosso è servito: mentre gli studenti si affannano a raggiungere un pezzo di carta sognato dai propri genitori, magari poco utile ai fini lavorativi, nel contempo ci sono tanti posti di lavoro vuoti, spesso ben pagati, che potrebbero essere occupati tramite percorsi formativi meno accademici e più pratici”, commenta così i dati Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.