valeriacamiaIl libro di Valeria Camia, (nella foto a sinistra), è una raccolta di racconti, presi dal suo blog, che non sono altro che spaccati di quotidianità di una giovane madre italiana, con due bambini che crescono in un paese che non conoscono, la Svizzera. Il padre, è inglese, e Lapo e Dario sono abituati alla non totale italianità in casa, ma fuori, in un paesino a pochi chilometri da Zurigo, ci sono gli svizzeri e la loro lingua, i loro usi e costumi…un mondo da scoprire con il quale a volte non basta partecipare ogni giorno in base a delle regole, ma farle proprie ed integrarsi, per sentirsi un po’ a casa e non sempre ospiti di passaggio.

Con questi frammenti di vita, Valeria, ci porta in una Svizzera intima, fatta di amicizie di incontri e di riflessioni sulla diversità di due nazioni cosi vicine geograficamente parlando, ma cosi lontane su tanti fronti.

Una riflessione sull’integrazione, sul sentirsi parte di qualcosa, giornate che passano senza sapere di lasciare un segno profondo dentro tutti noi, perché chi è lontano da casa, a volte riflette su dove sia casa e che cosa voglia dire il suo significato…c’è chi dice che “casa”, è dove sono i nostri cari, allora tutti noi abbiamo piu’  di un posto dove sentirci protagonisti. 

 

copertinaNel paese di Heidi. In viaggio da Zurigo al Ticino, come sono finiti i tuoi racconti da blog in un libro?

Il blog è nato dal desiderio di rendere parte della mia quotidianità familiari e amici che non sono geograficamente vicini. Soprattutto c’era e c’è la volontà di raccontare della Svizzera al di fuori degli schemi ‘tradizionali’ attraverso i quali la si conosce: gli orologi, il segreto bancario, la Bahnhofstrasse con i suoi negozi, le mucche, Heidi. Dopo la nascita del mio secondo figlio ho smesso di lavorare e la vita di mamma a tempo pieno mi ha permesso di conoscere meglio ‘i locali’ e la comunità svizzera – non quella degli expats – dalle sfaccettature complesse e composite! Sono nata e cresciuta in un piccolo paese dell’Emilia, ho vissuto in città grandi e molto grandi, come Londra. Mai come in Svizzera ho fatto esperienza di un tale e sentito rispetto per la comunità. Questo rispetto si trova non solo nella cura dei giardini, nell’ordine delle strade, e nel riguardo per le regole, ma anche nel modo in cui si può entrare ‘dentro’ alla comunità svizzera. Perché entrare si può: con rispetto, che non significa necessariamente assimilazione ma volontà di conoscere la comunità che ci sta davanti. Io ad esempio oggi posso dire di essere arrivata a comprendere il valore dell’amicizia e anche apprezzare la riservatezza degli svizzeri, pur rimanendo critica verso altri aspetti, pertinenti soprattutto il ruolo della donna nella società. In questo senso la mia – certamente non unica – esperienza può essere un punto di partenza interessante per dibattiti (anche critici) sull’integrazione ad ampio raggio. È con questo spirito che ho pensato di raccogliere i vari post del blog in un libro. 

Quando scrivi a chi rivolgi i tuoi articoli ? hai già un lettore o una lettrice ideale?

Emigrare non è mai facile, neanche se è una scelta libera e volontaria. Capita però che chi ha lasciato il proprio Paese si senta rimproverare da chi è rimasto: “Tu, che te ne sei andato, cosa ne sai dei nostri problemi qui?”, oppure “Ma come puoi stare bene con ‘quelli lì’?” Ecco, mi rivolgo a quanti non sono mai usciti dalla propria ‘comfort zone’. A quanti non avendo mai vissuto personalmente la sfida che comporta il comprendere stili e tradizioni diverse, non si domandano circa l’arricchimento personale che il mettersi in relazione (di ascolto) con l’altro genera. Il libro inizia con uno sguardo (il mio sguardo) abbastanza stupito sulla realtà circostante: perché mettersi il casco per andare in monopattino, anche in mezzo a un prato? Come si può portare i bambini in pieno inverno a giocare nei boschi? Ci vuole tempo perché lo sguardo comprenda quello che vede. Come ho detto, arrivata da Londra a Zurigo è stato difficile per me confrontarmi con l’iniziale riservatezza degli zurighesi, ad esempio. Ricordo che a lungo non ho avuto alcun rapporto con i colleghi al di fuori dello spazio lavorativo. Le amicizie vanno coltivate molto a lungo, diversamente che in altri Paesi in cui ho vissuto. Solo mettendo da parte il (pre)concetto di amicizia per come ne avevo fatto esperienza prima del mio arrivo in Svizzera, ho potuto vivere con serenità il presente e permettermi di coltivare profondi legami.

Il linguaggio che usi è molto diretto, “di pancia”, come scrivi in un capitolo, frasi brevi, uso di varie lingue, non hai cambiato nulla dal blog al libro…come mai questa scelta, di lasciare gli scritti veloci ad uso e consumo senza magari curare l’aspetto della riflessione che forse in un libro poteva anche starci? 

Ho cambiato poco dal blog al libro e mantenuto lo stesso linguaggio perché volevo mantenere la stessa immediatezza e spontaneità. 

Integrazione e diversità, alterità, differenze e continuità, oggi, sono temi importanti, e astenersi dal discuterne è quasi impossibile. Se ne parla tanto, con grande serietà e purtroppo anche con forte e pericoloso demagogismo. L’idea di mantenere il format del blog è legata proprio al desiderio di riflettere con naturalezza e un po’ di ironia degli aspetti felici e difficili della quotidianità a contatto con l’altro, dove l’io narrante è, a ben vedere, ‘l’altro’. 

Hai vissuto dieci anni a Zurigo, come mai poi ti sei trasferita a Lugano? 

La vita e gestione famigliare ci hanno portati qui!

Nel tuo libro parli di integrazione e di come le madri sono inconsapevolmente ponti di collegamento tra culture e realtà diverse, tu come vivi la tua integrazione ?

Vivere in Svizzera mi ha certamente arricchito. Come lo è stato vivere precedentemente in Inghilterra. Non è sempre stato facile bilanciare il desiderio di far parte della comunità, del paesello in cui vivevo e volontà di non rinnegare la mia provenienza, i miei costumi. Senza figli era più facile ‘abitare all’estero’ perché c’erano minor occasioni e motivi di conoscere ‘i locali’. Crescendo i figli, portandoli al parco, seguendo i loro percorsi scolastici e le loro amicizie: ecco che le differenze si sono fatte visibili e soprattutto il senso di ‘non appartenenza’ e al contempo il ‘desiderio di appartenere’ sono emersi. È stato un percorso impegnativo, fatto di muri da abbattere, di immagini stereotipate da vincere e situazioni in cui mi sono sentita in ‘dovere’ di difendermi, anche da critiche provenienti dall’Italia. Quante volte ho percepito sguardi interrogativi raccontando a connazionali che i miei figli cenano alle sette di sera, a volte già alle sei e trenta?!?

Per la tua esperienza, qual’è il primo passo da fare verso l’integrazione? 

Per me è fondamentale imparare la lingua locale e conoscere ‘il fare’ della comunità in cui vivo, senza apprezzare necessariamente tutto ma comunque cercando di capire le ragioni (anche storico-sociali) per cui gli altri agiscono in un dato modo. Bisogna mettersi in gioco. Ma è un bel gioco!

Meglio crescere cittadini del mondo, o con qualche paese di appartenenza? che cosa hai scelto per i tuoi figli?

Il senso di appartenenza è importante perché argina, porta sicurezza. È inevitabile. Sul mio passaporto c’è scritto Italia (anche se devo dire che l’Italia di oggi non mi rassicura troppo). Mio marito è inglese. Mi piacerebbe che in futuro i nostri figli portino con loro la conoscenza delle culture dei genitori. Credo, spero, che generino attaccamento per la Svizzera, il Paese dove stanno crescendo. Qualsiasi sia il passaporto che sceglieranno di usare nei loro viaggi, mi auguro che rimangano comunque sempre disposti ad ascoltare ‘l’altro’. Cittadini del mondo per me significa proprio non chiudersi dietro dogmi e barricarsi al riparo di tradizioni che non si è disposti a mettere in discussione.

Che cosa ti manca dell’Italia quando sei in Svizzera e che cosa ti manca della Svizzera quando sei in Italia?

Dell’Italia fondamentalmente mi manca ‘il volume’ ovvero lo schiamazzo dei bambini. Mi chiedo spesso se sia una cosa che fanno davvero tutti i bambini italiani o sono quelli della mia famiglia. Sono cresciuta in un piccolo paese, in una via poco trafficata, dove parlavo con la mia amica Alessandra dal balcone di casa mia mentre lei era sul balcone della casa dei nonni, dall’altra parte della strada. Urlavamo, mentre ci raccontavamo i segreti – che naturalmente tutti in zona conoscevano. Eravamo irrispettose degli altri attorno a noi? Direi che eravamo bambine, e eravamo quello che molti coetanei (in Italia!) erano: chiassose. E ci divertivamo. Ecco l’assenza di questo ‘essere chiassosi’ mi è mancato negli anni in cui ho vissuto nella Svizzera interna.

Poi non appena torno in Italia, critico lo stato dismesso delle strade, le altalene ai parchi giochi tutte rotte e malcurate, gli scontrini che al bar continuano a non farti, potrei continuare, sai…

Tutta la programmazione e la poca flessibilità che hai trovato a Zurigo quali aspetti positivi ha avuto nel vostro percorso?

È stata un’eccellente lezione di educazione civica e rispetto per la collettività ma anche di estetica in senso Kantiano. Vuoi mettere il piacere che genera camminare lungo strade dove la carta da riciclare viene depositata solo la sera prima del giorno della raccolta anziché farsi spazio lungo marciapiedi ingombrati di carta e cartoni per intere settimane precedenti la data della raccolta?

Alla fine però un paragone con l’Italia e il Ticino lo fai…non credi che i ticinesi possono averne a male? 

Spero di no. Mi auguro di non offendere i ticinesi, che hanno tanti motivi di apprezzamento. Certamente, una delle forze della Svizzera è la sua unità pur mantenendo differenze, anche forti, al suo interno. Le dinamiche e certe problematiche quotidiane della parte della Confederazione dove abito ora sono molto diverse da quelle dalla Svizzera interna. Non dico niente di nuovo. Se non altro per collocazione geografica e tradizione culinaria il Ticino e la Lombardia – per lo meno – sono ‘vicini’. 

Ci sarà un seguito dal Ticino?

Ci stiamo lavorando…

Ma alla fine di tutte le lingue che  parlate tra di voi…quale usate di più’? 

Italiano, of course!

 

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