Foto Stefania Prandi C’è una donna che stasera non tornerà a casa,  non preparerà la cena  ai suoi figli, non li vedrà  crescere non potrà abbracciare i suoi famigliari, sorridere…anche oggi una donna non potrà vivere una vita alla quale aveva diritto. Chi porta via da tutto questo tante giovani vite? mariti, fidanzati, amanti, uomini che non sanno accettare un no, che non vivono il rifiuto, la separazione e la fine di un rapporto.

Incapaci di affrontare il dolore e la sconfitta, eliminano la fonte della loro non realizzazione, e ogni giorno in Italia e nel mondo tante donne vengono uccise per mano di quell’amore che tanto avevano cercato nella vita.  Un attimo, un raptus di follia porta via tutto ma lascia ai parenti delle vittime un gran peso vivere senza di qualcuno che amavano più di loro stessi  cosi  genitori,  figli  e di conseguenza orfani,  si trovano a dover combattere contro una giustizia che sembra stare dalla parte opposta e da una società piena di luoghi comuni, che odia le donne e non c’è rispetto per il lutto e nemmeno per la sua elaborazione. Stefania Prandi,  nel suo ultimo libro “ Le conseguente “, da voce a chi resta dopo un femminicidio, come sopravvive chi deve dare giustizia a qualcuna che da sola non c’è l'ha fatta.  Con un’analisi delicata, la scrittrice,  entra in punta di piedi nelle vite spezzate di queste donne, e lascia ai parenti dare voce ai ricordi e alla speranza comune, una giustizia più adeguata, pene certe e severe,  e vivere il ricordo del sorriso di una figlia o di una madre tramite le pagine di un libro, che da ad una storia anche una dignità, che la società toglie alle donne ogni giorno. Ad oggi alle donne non è consentito dire no, dire basta, dire è finita, dare il diritto di non morire per “amore” di quell’amore che non hanno ancora trovato nella vita.  Leggendo le pagine di questo libro, da madre mi sono anche chiesta che tipo di maschi cresciamo ed educhiamo. Li priviamo della loro sfera emotiva, li viziamo, li facciamo vivere in un mondo senza no, ecco perché poi da adulti non sanno lasciare andare una donna che vuole solo vivere la propria vita, libera di decidere con chi e dove….alla ricerca di un amore nel quale  morire ogni giorno. 

 

Intervista: 

 

IMG-20200911-WA0007Come hai pensato e strutturato un libro che tratta un tema così difficile? 

In Italia viene assassinata, in media, una donna ogni sessanta ore e mentre il numero degli omicidi diminuisce, quello dei femminicidi, in proporzione, aumenta e rappresenta quasi il 40% del totale. La narrazione mediatica dei femminicidi, termine con cui si intende la morte o la sparizione di una donna a causa del suo genere di appartenenza, del suo essere donna, per motivi di odio, disprezzo, piacere o senso del possesso, è relegata in genere alla cronaca nera e a un modo morboso di riportare le notizie. Ho pensato che fosse necessario trovare delle chiavi diverse per descrivere il fenomeno della violenza estrema contro le donne. Ho quindi deciso di concentrarmi sulle conseguenze dei femminicidi sulle famiglie, prime cellule della società, e sulla società nel suo complesso. A pagare le conseguenze di questi crimini sono madri, padri, figli, sorelle, fratelli. A loro restano i giorni del dopo, i ricordi immobili appesi ai muri, trattenuti dalle cornici, impressi nei vestiti impolverati, le spese legali, i ricorsi, le maldicenze nei tribunali, le giustificazioni. Sempre più familiari intraprendono battaglie quotidiane, piccole o grandi, a seconda dei casi. C’è chi scrive libri, organizza incontri nelle scuole, nelle piazze, lancia petizioni, partecipa a trasmissioni televisive, raccoglie fondi per iniziative di sensibilizzazione, fa attivismo online. Lo scopo è dimostrare che quanto si sono trovati a vivere non è dovuto né alla sfortuna né alla colpa di chi è stata uccisa, ma ha radici culturali ben precise. La reazione all’infinito dolore individuale, che da personale diventa politico, fatica a essere riconosciuta a livello istituzionale e mediatico. Eppure sono in molti a non smettere di combattere contro l’invisibilità e il silenzio, nemmeno a distanza di decenni dalla morte delle loro figlie, delle madri, delle sorelle. Il vero amore è questo, non quello degli uomini che le hanno uccise.

Quanto tempo ci hai messo a raccogliere tutte le testimonianze? 

Il lavoro ha richiesto tre anni complessivi.

Speculazione e spettacolarizzazione sui femminicidi da parte di stampa e di programmi televisivi non aiuta certo a combattere il fenomeno o a sensibilizzare sul tema, come si sta lavorando in questo senso? 

Credo che da una certa parte del sistema mediatico italiano ci sia la volontà di focalizzarsi sulla morbosità e spettacolarizzazione del dolore, promuovendo un’informazione che rientra a tutti gli effetti nella “pornografia del dolore”. Si mettono troppo spesso in primo piano le presunte ragioni dell’assassino: era geloso, non ha sopportato la perdita, ha tentato la pacificazione e, al suo diniego, è scattato il raptus. Nella narrazione mediatica, malgrado il gran rumore, si entra poco e male nel merito della violenza maschile contro le donne: ci sono dettagli macabri e la colpevolizzazione delle vittime. Il contesto viene raccontato come se le vittime “se la fossero cercata” oppure come se fossero state così idiote da non essere capaci di andarsene. Non viene detto che la maggior parte dei femminicidi avviene proprio quando le donne vogliono andarsene, quando cercano di interrompere la relazione. Servirebbe una maggiore consapevolezza, serve un cambiamento culturale: la violenza contro le donne è un fenomeno complesso, che pervade diversi ambiti, dalla famiglia, al lavoro. Certamente rispetto al passato sono stati fatti dei passi in avanti come l’entrata in uso della parola «femminicidio» da parte dei media italiani. Questa definizione dà conto di un fenomeno che prima di venire nominato così non aveva la stessa visibilità. Il termine adottato negli studi e nei trattati internazionali è in realtà «femicidio», ma in Italia è diventato di dominio comune femminicidio in seguito all’approvazione, nel 2013, del cosiddetto Decreto legge sul femminicidio (diventato, sempre nel 2013, la legge numero 119).

Quando le luci si spengono dopo la morte, che cosa resta ai parenti delle vittime?
Queste famiglie vengono lasciate sole in un dolore inconsolabile, nella lotta per ottenere giustizia e risarcimenti, nella fatica di crescere bambini e bambine senza più madri. Una parte del libro è dedicata agli «orfani speciali», cioè i figli di madri uccise dai padri. A coniare questa definizione è stata la compianta Anna Costanza Baldry, criminologa e docente di Psicologia sociale e giuridica all’università Luigi Vanvitelli di Napoli. Non avere più la madre perché l’ha uccisa il proprio padre è il trauma nel trauma. Eppure in Italia, così come in altri paesi, manca un registro ufficiale, non si sa nemmeno quanti siano gli «orfani speciali». Si stima, invece, che 427.000 minori, in cinque anni, in Italia, abbiano vissuto la violenza sulle madri tra le mura di casa. Bambini e bambine che hanno assistito direttamente ai maltrattamenti oppure hanno visto i lividi, le ferite, le porte, le sedie e i tavoli rotti in casa. 

Nel libro si affronta anche la grave questione delle donne scomparse, che non rientrano nella conta ufficiale dei femminicidi. Assenti anche quelle morte per problemi di salute causati da una vita di violenze – non solo dovuti alle ripercussioni delle botte e dei maltrattamenti fisici, anche alle pressioni e ai ricatti psicologici – e quelle che si suicidano per sfuggire agli abusi e alle vessazioni. Per l’Organizzazione mondiale della sanità, le donne che subiscono abusi dal partner soffrono di livelli più alti di depressione, ansia, fobia, con maggiore propensione al suicidio delle altre.

Che cosa cercano i parenti delle vittime? giustizia ? vendetta….qual’è il sentimento più ricorrente secondo te? 

Credo che ogni persona che ho incontrato abbia un posizionamento diverso rispetto alla questione. Come dice una delle madri che ho incontrato, Vera Squatrito, che ha fondato l’associazione Io sono Giordana (https://www.facebook.com/iosonogiordana/) il femminicidio è «una bomba atomica», ha conseguenze devastanti su chi resta. «Le famiglie si distruggono. È molto difficile riuscire a capirsi nel dolore che non finisce mai. Ci sono rabbia, sensi di colpa, e una forma di depressione invisibile e costante».  

A volte gli assassini vista la giustizia che non funziona, si trovano liberi dopo poco e padroni di rifarsi una vita, a dispetto di chi l’ha vita gli è stata rubata, ecco come fa un genitore a sopportare tutto questo?
Rispondo citando le parole di un uomo che nel libro compare con lo pseudonimo di Domenico, per tutela dei nipoti minorenni. Sua figlia, chiamata Adele nel libro, è stata uccisa dal marito, adesso in carcere. Domenico deve occuparsi dei due nipotini, sopravvissuti all’omicidio della madre.
«Non possiamo accettare che quando una donna denuncia maltrattamenti in famiglia venga abbandonata, che un terzo delle donne in Italia sia vittima di violenza, che il 91% per cento dei reati di stalking sia commesso da maschi. Non è possibile che le condanne siano appena il 42,5% e che le donne subiscano una vittimizzazione secondaria durante i processi perché si entra nel privato, si indaga la loro sessualità, le si colpevolizza. L’assassino di mia figlia è stato condannato a trent’anni di carcere. Potrebbe avere un permesso premio, tra qualche anno. Non sappiamo dove sia e quando potrà uscire. Nessuno ci avvisa, ma lui sa benissimo dove trovarci. Temiamo che possa venire e ucciderci tutti. Lo ha promesso, per vendicarsi: crede che siamo stati io e mia moglie a spingere Adele a ribellarsi».
Dopo ogni racconto, c’è una lettera scritta da una madre alla figlia che non c’è … com’ è stato per te leggere e inserire questi scritti?
Questi scritti sono la voce diretta delle madri che riescono a esprimere, con estrema dignità e amore, la gravità della situazione in cui si trovano a vivere e allo stesso tempo la grandissima forza che hanno. Sono madri che si battono per sensibilizzare la società contro le cause della violenza contro le donne, che vogliono impedire che altre donne vengano uccise dai partner, dai mariti, dai compagni, dagli ex. Sono madri che danno un contributo fondamentale, spesso non riconosciuto dalle istituzioni, attraverso incontri nelle scuole, momenti di formazione, interventi sui media, iniziative nelle piazze, aiutando di persona donne in difficoltà.

Come mai ci sono solo storie di vittime italiane è stata una scelta? 

Il libro esiste grazie al contributo delle madri, delle sorelle, dei padri, dei figli che hanno deciso di incontrarmi e di aprirmi le loro case. Insieme a loro è stato possibile mostrare che le vittime hanno resistito, come potevano, per se stesse, per la vita che avevano costruito, per i propri progetti, per le figlie e figli. Non sono riuscita a intervistare parenti di vittime straniere, oppure di origine straniera, perché, nonostante diversi tentativi, non ho trovato familiari disposti a parlare, per la sfiducia generale verso i giornalisti e per ostacoli culturali e linguistici. Non ho voluto forzare la mano.

Come proseguirà la promozione del tuo libro?

Ci saranno degli incontri nelle prossime settimane a Brescia, Bologna e a Pesaro. Altri sono in fase di organizzazione. Oltre alla presentazione del libro in alcune occasioni verrà allestita anche la mostra fotografica sullo stesso tema, alla quale ho lavorato insieme al libro, che è stata esposta a Bologna, lo scorso novembre, al museo La Quadreria, https://bit.ly/2ZpA729

 

Per ordinare il libro on line : www.settenove.it

contatti Stefania Prandi : 

http://www.linkedin.com/in/stefania-prandi-26b639a

http://www.stefaniaprandi.it/

 

Nella foto in alto a sinistra Stefania Prandi in basso a destra la copertina del suo nuovo libro.