nicolettaIl libro di Nicoletta Bortolotti, “ Chiamami sottovoce”, è un delicato viaggio all’interno di una Svizzera che negli anni settanta , ottanta proibiva a chi arrivava per lavoro, italiani soprattutto, di portare anche i figli con se.  Le famiglie che passavano la dogana con i bambini nascosti tra i bagagli rischiavano l’ingresso, passavano il controllo doganale, i lavoratori subivano quello medico, venivano anche disinfettati, tra battute dispregiative da gente che poi ne avrebbe sfruttato la forza lavoro per la costruzione della galleria del San Gottardo.

I bambini che vivevano sottovoce erano tantissimi in questo periodo, nascosti in cantine o soffitte, abbandonati da genitori che lavoravano tutto il giorno, perdevano l’infanzia senza capirne il motivo. Leggi assurde, razzismo, la supremazia di una razza su di un’altra, un circolo vizioso dal quale storicamente non si esce, nel quale si ricade pericolosamente anche ai giorni nostri. 

Nel 1976 Nicole abita vicino a Delia, una signora che affitta le camere ai lavoratori stagionali, li ci sono anche i genitori di Michele il padre coordina i lavori al Gottardo e la madre fa la cameriere in un ristorante li vicino.

Michele resta nascosto nella soffitta, vede i genitori solo la sera, casualmente pero’ la bambina lo scopre e diventano amici. Mentre la madre insegnante si assenta per lavoro, Nicole va sempre a giocare con Michele.Qualcuno pero’ per colpa di una luce lasciata accesa in soffitta, vede il bambino e denuncia il clandestino. Nicole si sente in colpa, Michele viene portato via e per tanti anni non se sa più’ nulla. 

Solo nel 2009, Nicole torna in Svizzera per il funerale della madre, e da Lugano inizia il suo viaggio a ritroso, cerca Delia, fa i conti con il suo passato, e poi in Italia trova Michele…tra ricordi, rimorsi, cose non dette riaffiorano tra le righe che portano il lettore in una realtà che ha segnato le vite di tante persone, parole che restano e non cambiano nel presente. 

 

  chiamamiIl Suo romanzo “ Chiamami sottovoce”, è stato il primo libro a raccontare con la storia di Michele e la sua famiglia quello che succedeva a tanti bambini che venivano nascosti dai genitori, per non abbandonarli in Italia in collegio o dai parenti, in Svizzera, nelle soffitte o cantine negli anni settanta ed ottanta. Bambini che non avevano nessun diritto, nemmeno quello di fare rumore…..

In Italia è stato il primo romanzo per adulti a raccontare questa vicenda che ha coinvolto quasi tutte le regioni della Penisola e ancora oggi è una ferita silenziosa e poco raccontata dai testimoni. Si aggiungono anche i drammi di quei bambini lasciati negli orfanotrofi di frontiera oppure lasciati in Italia alle cure di nonni e zii. Cito come fonti soprattutto la scrittrice e psicoterapeuta Marina Frigerio e lo storico delle migrazioni Toni Ricciardi.

 Dopo il libro, tanti  ex bambini nascosti, le hanno scritto per raccontare l’esperienza vissuta in Svizzera, in quegli anni, quali sono le storie che l’hanno colpita di più’?

Mi sono stupita di quante persone mi hanno scritto che solo dopo la pubblicazione del libro hanno scoperchiato la scatola della memoria. Grazie a “Chiamami sottovoce", che ha fatto conoscere la vicenda a una giornalista di Rai 3, Alessandra Rossi, e grazie al fatto che le ho girato tutti i contatti degli ex bambini nascosti, è nata l’idea di realizzare il docufilm per Rai 3 Non far rumore, con le voci dei testimoni.

 Michele è un bambino coraggioso, passa la dogana nascosto nel bagagliaio della 131, e già li sente le prime frasi sugli italiani, sulle loro abitudini derise dagli svizzeri, che impatto aveva questo  modo di fare sui bambini?

Li faceva vergognare di se stessi, del proprio paese e delle proprie origini, con un danno permanente alla loro autostima.

 I genitori poi una volta idonei al lavoro, vengono anche disinfettati, che umiliazione poteva essere per un italiano che alla fine cercava solo lavoro?

 La visita di disinfezione era un’esperienza molto dura. Prima della Seconda guerra mondiale, si usava addirittura il ddt. Inoltre a volte le visite avvenivano al freddo, con la neve, e le donne incinte cercavano di nascondere il ventre gonfio altrimenti le rimandavano indietro.

 Il tunnel del  SanGottardo, è stato per tanti italiani un modo di guadagnare qualche soldo, a discapito poi della salute, della quale la Svizzera non si è mai sentita colpevole…

In realtà l’atteggiamento della Svizzera è stato ambivalente: da un lato raccoglieva una grande sfida, l’afflusso massiccio di stranieri nei cantieri edili e nei cantieri alpini che supportassero la crescita economica, dall’altro una parte (non tutta) della classe politica e della popolazione paventava che mettessero radici e dunque esprimeva la volontà di respingere. Si volevano braccia, non esseri umani, scrive Max Frisch. Il tunnel del Gottardo, fra le ultime gallerie a essere state scavate in parte ancora con il metodo della dinamite, evidenzia bene tale ambivalenza. Proprio quando si ergevano barriere con i famosi referendum di Schwarzenbach, ecco che quelle stesse barriere venivano abbattute a colpi di dinamite, scavando la galleria più lunga del mondo, la via più breve dalla Sicilia al Nord.

 Perché Nicole da adulta cerca Michele, è un po’ un fare pace con se stessa?

Nicole è stata a suo modo una bambina invisibile, timida nell’affrontare il mondo. E la risoluzione di un nodo che blocca il suo passato in un certo senso le offre una narrazione del presente più pacificante...

 Michele viene scoperto perché qualcuno denuncia il bambino irregolare, forse qualche vicino, questa è una mentalità che secondo lei è cambiata in Svizzera?

Non saprei, io sono nata in Svizzera, ma vivo in Italia. Certo, e nel romanzo ho tentato di ben evidenziarlo, molte persone denunciarono pensando di far bene, di rispettare le regole, la legge. Ma poi c’è una legge prima della legge, ed è quella dei padri, delle madri e dei figli. A volte la “banalità del male” si nasconde proprio nella convinzione di agire per un bene più grande, più che in un’intrinseca volontà di male.

 Come ha scelto il linguaggio narrativo per una vicenda cosi delicata?

Vi sono diversi registri linguistici, quello di Michele bambino, di Nicole adulta, ma in tutti i casi, poiché il racconto è sorretto da una trama forte e complessa, ho scelto di adottare uno stile dimesso, trasparente, sottovoce, la parola resa quasi invisibile proprio come l’infanzia di quei bambini. Vengo dalla poesia che ama i materiali poveri della linea lombarda, Milo De Angelis, Gianpiero Neri...

 Come ha fatto a raccontare il lato umano della vicenda, senza da italiana, scendere in polemica con le leggi del tempo?

E’ stata una scelta precisa raccontare una vicenda dirompente da un punto di vista politico e sociale in una prospettiva intima e familiare. Anche perché la denuncia viene già espressa, “mostrata" dai fatti raccontati, ma la letteratura non deve mai essere didascalica o contenere chiari messaggi sociali o morali. Altrimenti è altro. Saggio, giornalismo o demagogia.

 Sembra che gli italiani si dimentichino la storia, e al giorno d’oggi la discriminazione nei confronti di altre etnie è all’ordine del giorno….

Proprio così, quando ho scritto di questa vicenda, non mi ero resa conto che era a tutti gli effetti un racconto sull’attualità. Anche se ho riscontrato in molti italiani che sono emigrati all’estero una maggior comprensione ed empatia verso i migranti che sbarcano sulle nostre coste, proprio in virtù dell’esperienza difficile che per molti è stata.

 Se Michele non fosse stato scoperto, in un altro ipotetico finale, che cosa avrebbe fatto in Svizzera?

Avrebbe forse completato i suoi studi o trovato un lavoro più sicuro e meglio remunerato che in Italia, ottenuto più per merito che per fortuna o raccomandazione. Ma si sarebbe sempre portato dentro l’ombra di quell’infanzia rubata, come una ferita difficile da sanare.