anitaavvvQuante volte, nelle pubblicità di qualche realtà socio sanitaria, abbiamo visto divise inamidate, figure rilassate e visi sorridenti di operatori, infermieri e altri professionisti che si occupano di demenza?Nella vita quotidiana le cose non vanno così. E oggi, dopo lo stravolgimento epocale in cui siamo immersi, ancora di più.Spesso a fine turno molti operatori sono sfigurati dalla fatica.

Turni che spesso non rispondono più a livelli di assistenza pensati e progettati anni fa. La realtà è che le persone che arrivano nelle strutture sono molto cambiate rispetto ad una volta, perché hanno già delle necessità di tipo assistenziale molto impegnative.

Nella foto a sinistra la dottoressa Anita Avoncelli.

Spesso non deambulano, sono già allettate, le disfagie sono all’ordine del giorno, la comunicazione verbale non è più il canale privilegiato.

Per cui, che fare? Questo lavoro rappresenta il tentativo di ripensare completamente al senso della vita delle persone con demenza, all’interno delle strutture socio sanitarie, ma non solo.

Una risposta per i professionisti del settore in particolare, ma anche per tutti coloro che si trovano a vivere l’esperienza di un loro caro che convive con la demenza.

La persona affetta da demenza fa tornare alla mente la storia di Pollicino, che mentre cammina lascia delle tracce dietro di sé: per farsi scoprire? Per farsi capire? Sta a noi comprendere, attraverso l’osservazione, che cosa sta accadendo e cercare di trovare delle soluzioni, anche fossero solo per riuscire a stare accanto.

Il nuovo libro di Anita Avoncelli parte con delle domande profonde, scomode visto anche il periodo storico e sociale che stiamo vivendo con il Covid-19, un virus che ha penalizzato categorie già deboli e che emargina ancora di più persone che normalmente trovano una dimensione reale nella normalità. Grazie al suo ultimo scritto, gli operatori e i familiari di questo tipo di paziente, possono trovare non solo degli spunti di riflessioni ma anche schemi pratici da seguire tutti i giorni per rendere più’ confortevole e meno gravosa la quotidianità.

La dottoressa Avoncelli lavora da molti anni nel campo delle demenze, cercando di portare quel cambiamento valido a modificare la visione stessa di malattia e di conseguenza l’assetto organizzativo e relazionale. Ha sposato la pedagogia montessoriana nel suo originale pensiero fatto di libertà, rispetto ed uguaglianza, elementi fondamentali nella vita di ognuno di noi. Per conoscere le sue iniziative e contattarla potete visitare il suo sito www.avoncellianita.it

 

anitaavIntuizioni montessoriane per la demenza una nuova visione di cura, è stato il primo libro dove hai messo in parallelo il mondo dei bambini con quello degli anziani, come hai avuto questa intuizione?

Questo libro uscito nel 2018 è nato dall’osservazione e dall’esperienza diretta di 20 anni di contatto con persone con demenza ed i loro familiari. Mi ero accorta che gli approcci fino a quel momento utilizzati, non mi appartenevano completamente. La pedagogia montessoriana nella sua immediatezza e concretezza ha rappresentato un faro. L’osservazione mi ha fatto cogliere l’assonanza dei miei vecchi studi di pedagogia, psicologia dell’età evolutiva con Piaget, ma allo stesso tempo le neuroscienze hanno permesso di creare un ponte tra questi due mondi, solo 100 anni fa impensabile. Dopo aver trovato che anche altri autori avevano colto l’importanza della pedagogia montessoriana all’ambito delle demenze, questo ha rappresentato una spinta maggiore a voler promuovere un approccio che, rispettoso della persona con la sua malattia, non venisse tolta, ma ad un certo punto quasi accolta. 

Da poco è uscito il tuo nuovo libro “Montessori abbraccia le demenze”, (nella foto a destra la copertina del libro),  a chi è rivolto in particolare? 

Questo nuovo libro edito da Maggioli https://www.maggiolieditore.it/montessori-abbraccia-le-demenze.html uscito a luglio del 2020 rappresenta un’evoluzione, un proseguimento dovuto al mio primo lavoro. Si sono concretizzati i pensieri che sono diventati anche delle procedure operative di aiuto e sostegno per tutti coloro che a diverso titolo si occupano di demenza. Il libro si rivolge ai diversi professionisti, caregiver che si occupano di demenza sia a livello pratico operativo ma anche ai tanti direttori per il loro ruolo organizzativo direzionale necessitano di rivedere la visione stessa dell’assistenza, degli ambienti, delle attività che vengono indirizzate. E’ stato infatti evidenziato come l’operatività dei professionisti passi in primis da un indirizzo di pensiero elaborato proprio da coloro che guidano il personale. Se l’amministrazione non sposa un percorso di cura che si realizza intorno a determinati principi, tutto l’aspetto organizzativo pratico ne risulterà alquanto compromesso. Dobbiamo educare chi ha poi un ruolo di leader all’interno delle stesse organizzazioni.

Ci saranno anche dei corsi per spiegare metodo ed applicazione?

Certamente. Sul sito www.avoncellianita.it è possibile, alla voce formazione, essere aggiornati dei periodici incontri di formazioni organizzati sul territorio italiano, ma non solo. Proprio in Svizzera e precisamente grazie alla collaborazione con il settore corsi della Croce Rossa Svizzera sono stati organizzati dei momenti di formazione specifici sul Modello Montessori per le demenze, rivolti ai diversi professionisti del settore socio sanitario dagli infermieri,  all’assistenti di cura, addetti alle cure socio-sanitarie, OSS e OSA, fisioterapisti, animatori, ma non solo, hanno potuto toccare con mano sia la parte teorica di base che poi direttamente sperimentare attraverso, delle attività mirate e video la concretezza del percorso. Spesso la necessità di questi corsi inoltre si indirizza anche agli stessi direttori al fine di promuovere modelli organizzativi che accolgano realmente dei processi di cura indirizzati a questo modello.

Il tuo libro si apre con una frase della Montessori “ non si può’ essere liberi se non si è indipendenti” , come fa un paziente a rendersi libero quando è in una struttura per anziani?

Dalla comprensione dei sistemi che regolano il comportamento. Non si può imparare la ricettina a memoria, si devono capire i fondamenti di un processo educativo e pedagogico, così da mettere in pratica nel quotidiano un sistema che sia veramente orientato alla libertà. Comprendendo l’evoluzione della malattia, comprendendo come strutturare un ambiente, come progettare delle attività. Dobbiamo passare da una mentalità di sorveglianza ad una mentalità di cura, intesa come il prender-si cura della vita e delle relazioni di queste persone ma anche di coloro che vi lavorano.

Come è la situazione con il Covid-19 nelle case di riposo? come lavorano gli operatori?

Purtroppo è stato un periodo difficile e nel momento in cui scrivo la situazione si sta nuovamente acutizzando. Ci sono molte realtà che non hanno mai registrato casi al loro interno, altre purtroppo che hanno vissuto momenti di grave difficoltà e decessi. I protocolli sono molto rigidi perché la gravità del momento impone un’attenzione estremamente scrupolosa. Il pensiero però in questo momento va ai tanti familiari che vivono dall’esterno questa situazione senza poter vedere e toccare un proprio caro, aspetto che risulterebbe fondamentale proprio in un momento così cruciale della vita delle persone con demenza, ma anche ai tanti colleghi e professionisti che vivono una costantemente  frustrazione di non poter permettere questo abbraccio. 

Come si capisce quando il personale non funziona e che tipo di corsi frequentano gli operatori per anziani?

Quando il personale non funzione bisogna imparare ad allargare lo sguardo e comprendere in che situazioni diviene disfunzionale. Qual è il sistema in cui opera? Che tipo di cultura esiste nella sua realtà, comunità o altro? E’ forse eccessivamente autoritaria, burocratica? Piuttosto che valorizzante o partecipativa? Dove viene posta la persona con demenza e colui che si prende cura? Aspetti che i direttori o coloro che si occupano di realtà socio sanitarie dovrebbero sempre tenere in considerazione. Da questo emerge anche un aspetto formativo, accademico. In questo periodo ho avuto modo di seguire alcune tesi di futuri infermieri che si sono approcciati al modello sistemico Montessori per le demenze. Questo rappresenta un faro nel percorso formativo, perché finalmente si comprende che non ci deve solo essere un’acquisizione di aspetti pratici, ma anche modelli teorici che determinano un determinato comportamento. 

Lo Stato investe abbastanza nelle strutture ricettive e ricreative per gli anziani? 

Ci vorrebbe un aumento degli investimenti ma una visione lungimirante di che cosa sia necessario per una persona con demenza, del suo caregiver e di tutti coloro che a diverso titolo ruotano intorno alla malattia. Non è solo elargire un fondo, ma comprendere che indirizzo dare ad una politica territoriale che deve tornare al piccolo, proprio per un senso di comunità.

Tu metti in relazione il bambino con l’anziano, che cosa deve cercare dentro sé l’anziano?

Il bambino che è stato. 

Noi tutti siamo ciò che siamo, in funzione delle relazioni e esperienze che abbiamo maturato nella nostra esistenza. Dobbiamo tornare all’origine della nostra specifica esistenza anche in una situazione di malattia

Sembra che sugli anziani e sulla loro cura ci sia poco interesse, parlo anche di ricerca e di innovazione nel loro trattamento…è una sensazione corretta? 

Negli anni la ricerca si è tanto spesa per la possibilità di trovare una soluzione farmacologica e risolutiva a questa grave malattia. Alcune case farmaceutiche hanno però rinunciato a proseguire gli studi per gli scarsi risultati. Da questo si è sviluppata un’attenta riflessione al possibile. Se una cura ancora non c’è, allora che cosa possiamo intanto fare? Ed è su questo che le terapie di tipo non farmacologico si sono sviluppate. Ma sono anni che gli educatori e tutta la scienza dell’educazione lavora costantemente sulla progettualità di interventi che hanno al centro la persona. Una volta vi erano le terapie occupazionali, ergoterapie ora vi è una maggiore consapevolezza sulla specificità.

Come fa un paziente demente a ritrovare sé stesso?

E’ un discorso molto lungo ma possiamo dire che ciò che rimane racchiuso nella nostra memoria più emozionale e procedurale è l’ultima ad essere deteriorata, ed è lì che dobbiamo cercare di tornare. Se la persona con demenza non riesce, saremo noi che come supporto la aiuteremo e la sosterremo.

Cosa ne pensi della sperimentazione avvenuta in alcuni paesi dove asili e case per anziani sono vicini e sia nonni che bambini svolgono attività insieme?

Mi sembra un’ottima idea e possibilità, ma esistono, molto poche purtroppo, anche in Italia tali realtà. Nel mio primo libro “Intuizioni montessoriane per la demenza” racconto proprio di un’esperienza del genere di Piacenza come collegamento e possibilità di sostegno. I bambini sono dei catalizzatori formidabili. Inoltre se pensiamo che oggi giorno sempre più anziani non possono godere dell’essere nonni e allo stesso tempo molti bambini non hanno la fortuna di avere dei nonni, viene a mancare un pezzo di esperienza che è utile ad entrambi.

Qual’è l’ambiente ideale per un anziano affetto da demenza e come i familiari possono stare vicini a persone che presentano questa problematica?

L’ambiente più adatto è quello simile ad una casa. Semplice, che permette di orientarsi, di trovare gli oggetti della propria vita ed anche sé stessi. Nel mio ultimo lavoro “Montessori abbraccia le demenze” https://www.maggiolieditore.it/montessori-abbraccia-le-demenze.html dedico un capito intero a questa tematica, proprio per la valenza rassicurante e di aiuto alla persona con demenza, ma anche fornendo indicazioni pratiche a come ripensare ai luoghi di cura, agli spazi, ai colori, a tutto ciò che può essere di aiuto oppure al contrario confondere. La stessa Montessori scriveva: “ Quando parliamo di ambiente comprendiamo tutto l’insieme delle cose che il bambino può liberamente scegliere in esso e usare tanto quanto desidera, (in corrispondenza) delle sue tendenze e dei suoi bisogni di attività”. Comprendiamo come la pedagogia di Montessori abbia avuto una rilevanza fondamentale nello sviluppo di tutto ciò che è di aiuto e sviluppo. Ma ancora: “….La regola è che ciascun oggetto deve avere un luogo determinato, dove si conserva e dove rimane quando non è usato. Il bambino può prendere il materiale soltanto dal luogo in cui esso “è esposto alla libera scelta”. Come individuo io mi devo sentire libero e la libertà è data dall’indipendenza, due elementi (libertà ed indipendenza) che si alimentano e si perfezionano  e permettono all’essere umano di vivere serenamente le proprie esperienze.

 

Si prospetta vista la curva dei contagi un nuovo lock down che errori non si dovrebbero più fare ripetere dal primo?

Credo che sia inevitabile. La speranza è che, di fronte ad un intervento di tipo sanitario, possa trovare spazio anche il senso di cura che è primariamente relazione. Il virus c’è, non possiamo fare nulla di ciò che è già stato messo in atto, ma spero che i protocolli prevedano anche uno spazio per questi due aspetti, (cura e relazione) fondamentali nella vita come nella morte soprattutto per le persone con demenza, che sperimentano emozioni molto più simili, sotto l’aspetto retrogenetico, alla paura, allo smarrimento dell’infanzia.

Nella tua esperienza quale è l’attività montessoriana più apprezzata e che ha anche valenza  terapeutica in persone anziane affette da demenza? 

Montessori parlava di due tipologie di attività, una di queste era appunto “l’attività di vita pratica”. Il quotidiano che è dentro la nostra memoria, diviene la base per poter mantenere le abilità e le competenze residue di quella specifica persona, senza generalizzazioni, per cui non è possibile pensare ad un’attività passepartout come panacea per tutti i mali, bensì, fermarsi, osservare e studiare chi era e chi è la persona, che abbiamo davanti ai nostri occhi, ma non solo aprire lo sguardo anche alla sua famiglia. Dobbiamo permettere alle persone con demenza di poter scegliere e decidere degli aspetti della loro vita. Il materiale dovrà essere lasciato a disposizione, no per lavorare ma per autoperfezionarsi, autorealizzarsi. (Montessori abbraccia le demenze)

Come fa un paziente demente a ritrovare se stesso, partendo dal fatto che non sa neppure chi è stato in un momento della sua vita? 

Tutto rimane ma semplicemente si trasforma. Possiamo essere noi il suo specchio e la sua strada.

 Info e libri: 

www.avoncellianita.it

https://www.maggiolieditore.it/montessori-abbraccia-le-demenze.html