Gli ultimi tre anni hanno provocato una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro e il fe-nomeno delle Grandi Dimissioni, che ha caratterizzato l’uscita dalla pandemia, sembra essere tutt’altro che concluso. In Italia, complessivamente, il 46% dei lavoratori ha cambiato lavoro ne-gli ultimi 12 mesi o ha intenzione di farlo, una percentuale che raggiunge il 77% per gli under 27. E il 55% di chi dice di voler cambiare lavoro sta già facendo colloqui.

Ma non tutti quelli che lo hanno fatto hanno trovato quel che cercavano: il 41% si è pentito della scelta fatta. Si tratta del fenomeno conosciuto negli Stati Uniti come “Great Regret”, che in Italia caratterizza mag-giormente gli uomini e le persone con più di 50 anni di età. Un altro trend emergente è quello dei cosiddetti Quiet Quitter: ben il 12% dei lavoratori italiani (circa 2,3 milioni di lavoratori) oggi si limita a fare il minimo indispensabile e non è coinvolto emotivamente nelle attività lavorative, perché non si sente valorizzato nei propri talenti e ha deciso di “spegnersi”, utiliz-zando al minimo le proprie energie sul lavoro. All’estremo opposto, c’è un 6% (circa 1,1 milioni di lavoratori) di Job Creeper, che non riesce a smettere di lavorare, anche nei momenti in cui ci si dovrebbe dedicare alla vita privata. Fenomeni diversi, che sono sintomo di un malessere diffu-so. D’altronde, oggi solo il 7% (circa 1,3 milioni lavoratori) dei lavoratori dichiara di essere “fe-lice”. E solo l’11% sta bene su tutte e tre le dimensioni del benessere lavorativo: psicologica, re-lazionale e fisica. L’aspetto più critico è quello psicologico: il 42% dei lavoratori ha avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere psicologico e/o relazionale. In questo mercato del la-voro così travagliato si aggiunge un’altra criticità: il 59% delle organizzazioni prevede una cre-scita dell’organico nel 2023, ma il 94% ha difficoltà ad assumere nuovo personale. Una difficoltà che riguarda in primis le professionalità digitali, ma non solo: mancano anche profili tecnici, operai e manutentori. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, presentata giovedì scorso durante il convegno “Vita, lavoro, felicità: disegnare una nuova relazione tra organizzazione e persone”. “La pandemia ha fatto crescere in molti un senso di precarietà e individualismo che porta a non vedere più il lavoro come unica o principale priorità, ma a rivendicare il diritto di avere tempo e spazio per poter vivere tutte le altre sfaccettature della vita – spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. In questo contesto la Direzione HR può e deve avere un ruolo chiave nel comprendere e interpretare il futuro, aiutando l’organizzazione a ridisegnare la propria relazione con le persone. Le evidenze della ricerca sug-geriscono come sia necessario partire dall’ascolto e dalla presa d’atto che alla base della crisi attuale ci sia innanzitutto una sempre più pressante ricerca da parte delle persone di equilibrio e felicità attraverso il lavoro. Un totale cambiamento di mentalità che sfida la cultura tradiziona-le”. “In questo contesto di grande cambiamento la Direzione HR ha di fronte sfide importanti. Per riuscire a trasformare sé stessa ed essere di reale supporto alle persone e all’organizzazione, l’innovazione tecnologica può giocare un ruolo fondamentale - afferma Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. Il mercato HR Tech si è evoluto a un ritmo straordina-rio negli ultimi anni, ma le applicazioni più innovative faticano a diffondersi sul territorio italia-no. Ne sono un esempio le soluzioni di intelligenza artificiale, che offrono la possibilità di rein-ventare l’approccio della Direzione HR, personalizzando l’esperienza offerta alle persone, dai processi di recruiting ai percorsi di crescita e di sviluppo. Tra le principali difficoltà per le orga-nizzazioni, c’è quella di comprendere le competenze che saranno necessarie nei prossimi 3-5 an-ni per pianificare in maniera strategica le attività di riqualificazione, fondamentali per garanti-re l’impiegabilità futura delle persone e il successo del business. Solo il 15% ne ha chiara consapevolezza”.