Gianluca Zambrotta è stato ospite del FIFA Calcio Museo di Zurigo, del quale è ambasciatore, una serata ricca di emozioni dove non solo ha incontrato tanti tifosi, ma ha anche stretto tra le mani un’altra volta la Coppa del Mondo, ricordandogli non solo la vittoria dell’Italia nel 2006, ma i tanti traguardi raggiunti nelle sua carriera di calciatore, allenatore poi e dirigente dopo, è sempre rimasto ad alti livelli, concentrandosi anche di essere un rappresentante di uno sport  che in tutto il mondo mette sempre tutti d’accordo. 

Stasera sei a Zurigo ma con la Svizzera hai un legame da tempo…

Si ho allenato il Chiasso e poi ho lavorato anche per la RSI come commentatore della Champion League, non abito molto lontano, visto che sono a Como, quindi facilmente raggiungo la Svizzera per lavoro. Poi sono rimasto nel campo del calcio come dirigente.

Appena hai smesso di giocare ti è mancato il calcio?

Devo dire che all'inizio sì, mi è mancato perché giocavo praticamente sempre non c'era un giorno in cui io non giocassi a calcio, però devo dire che sono stato bravo a pensare molto presto durante la mia carriera agonistica quale sarebbe stato il mio futuro perché se non ci avessi pensato subito mi sarei trovato a fine carriera forse con non tante prospettive nel mondo che io conosco che è quello del calcio. Comunque smesso di fare il calciatore ho dovuto fare il patentino di allenatore e poi ho seguito diverse squadre, e in realtà il mondo del calcio non l’ho mai lasciato, ci sono rimasto coprendo altri ruoli.  

Tu realmente quando hai pensato al tuo futuro dopo il calcio professionista?

Ciò pensato mentre giocavo al Milan, nell’ultimo periodo. 

Hai lavorato di più da allenatore o da calciatore?

Devo dire che ho lavorato di più come allenatore che come calciatore. Da allenatore dovevo pensare alla squadra 24 ore su 24, e risolvere i problemi delle  tante persone e personalità che formano una squadra. Invece da calciatore giocavo solo per me dovevo pensare a me e alle mie performance

Quando sei rientrato alla tua vita normale ti è mancato viaggiare?

Quando giochi in una grande squadra in serie A non sei mai a casa in realtà, perché ci sono molte partite cambi città continuamente ci sono gli allenamenti e i ritiri quindi i calciatori sacrificano molto della loro vita privata per il loro sport e per i loro tifosi. Per i giocatori aiuterebbe molto staccarsi un po' dallo stress degli allenamenti e soprattutto  dei ritiri e stare più vicino alla famiglia vivere gli affetti questo aiuterebbe a liberare la mente e aiuterebbe la concentrazione e la motivazione.

Questa sera al museo Fifa festeggi le tue vittorie i tuoi traguardi più importanti qual è stato il premio davvero più importante di tutta la tua carriera calcistica? Il premio più importante per me è stata la Coppa del Mondo nel 2006,  non c'è un riconoscimento più grande per un calciatore e per una squadra, penso sia così anche per i fortunati 23 calciatori che insieme a me hanno condiviso un momento grandioso, non solo per il calcio ma anche per la nostra nazione, l’Italia.

Tu stasera sei qui come ambasciatore al museo Fifa per il calcio a Zurigo come ti senti in questo ruolo , come ci sei arrivato e quanto importante per la città del di Zurigo  è avere il museo del calcio?

Alla Fifa ci sono arrivato grazie anche alla coppa del mondo che abbiamo vinto. Sono stato sempre un calciatore di ottimo livello e penso che per la città di Zurigo sia importante avere il museo del calcio, per trasmettere ai giovani dei valori sani perché è uno sport che può dare tanto, è anche molto famoso, importante, nel quale tante nazioni investono parecchie energie e soldi. Il  fatto che il museo sia Zurigo mi piace perché è vicino alla sede centrale della Fifa, e perché fa da collegamento a tutte le nazioni e a tutti i calciatori che giocano a calcio. Penso che sia anche il posto ideale dove incontrare i tifosi e gioire insieme a loro, perché incontrare i propri idoli soprattutto per i più piccoli è molto importante. È un museo nato da poco che si deve sviluppare ancora e ci sono molte aspettative, quindi siamo solo all'inizio e sono onorato di esserne l’ambasciatore.  Solo dal breve giro di oggi, vedo molti margini di crescita e di sviluppo.

Tu quando hai capito che avresti intrapreso la carriera di calciatore? Devo dire che io ho giocato a calcio fino  da bambino, e sono sempre stato incoraggiato dalla mia famiglia a  farlo  ecco perché poi è stato facile entrare nelle società che mi hanno sempre mano a mano mandato avanti .

Che cosa ti aiutato di più nell’andare avanti durante la tua carriera, oltre il talento? 

Certo di base il talento serve e aiuta, ma non è tutto, io ho visto giocatori molto più talentosi di me  non arrivare dove dovevano arrivare. Ad alti livelli conta la società con cui giochi, e la determinazione, io essendo comasco sono una persona molto fredda, la mia freddezza mi ha fatto sempre rimanere lucido, sia nei momenti alti della mia carriera che in quelli bassi.

Tu hai viaggiato molto in quale città ti senti a casa anche se non è la tua?

Devo dire Napoli. E’ la città di mia moglie, dove c’è l’altra parte della famiglia, la parte dove i rapporti umani sono la prima cosa, dove le persone stanno insieme. Di città nel cuore ne ho due, Como e Napoli.

Hai ancora le prime scarpe da calcio che hai usato da bambino quando tiravi i primi calci al pallone? 

Dovrei chiedere ai miei genitori, loro si occupavano di tutto quando ero piccolo, dovrò chiedere perché anch’io adesso sono curioso di saperlo. 

Stasera dopo tanto tempo stringerai al Coppa di nuovo, visto che c’è quella originale, come ti senti?

Emozionato, come nell’incontrare i tanti tifosi che sono qui fuori ad aspettarmi, sarà anche se fuori dal campo, una notte magica.