Nel proporre la candidatura, approvata dal Consiglio direttivo della Commissione nazionale italiana Unesco, il Comitato scientifico presieduto da Massimo Montanari (Professore emerito dell’Università di Bologna) ha fatto proprie le istanze di tre comunità promotrici: l’Accademia italiana della cucina, fondata nel 1953 da Orio Vergani, che ha oltre 80 sedi all’estero, 220 in Italia e più di 7.500 accademici associati; la Fondazione Casa Artusi, nata nel 2007 per promuovere “la cucina di casa italiana” come praticata da Pellegrino Artusi sin dalla seconda metà dell’Ottocento; “La Cucina Italiana”, fondata nel 1929, la più antica rivista gastronomica al mondo in edicola. 

Nel dossier di candidatura ufficiale alla lista Unesco dei patrimoni culturali immateriali la cucina italiana viene definita come un insieme di pratiche sociali, riti e gestualità basate sui tanti saperi locali che, senza gerarchie, la identificano e la connotano. Un mosaico di tradizioni che riflette la diversità bioculturale del Paese e si basa sul comune denominatore di concepire il momento della preparazione e del consumo del pasto come occasione di condivisione e di confronto. «Si dice che gli italiani parlano sempre di cibo. È vero, e accade da secoli, perché attraverso il cibo gli italiani raccontano sé stessi, l’identità del paese e quella dei mille luoghi che lo compongono. La cultura del cibo - ha osservato Massimo Montanari - è diffusa sul territorio in maniera capillare, con una irriducibile diversità di declinazioni locali. Ma ciò non significa che la cucina “italiana” sia solo la somma delle cucine locali. Perché le particolarità locali non sono chiuse in sé stesse ma circolano, si integrano, si moltiplicano. La condivisione delle diversità è il vero carattere originale della cucina italiana, un patrimonio collettivo costruito sull’interazione delle esperienze locali». Nel corso del convegno, coordinato dal docente di Storia economica dell’Università di Parma Stefano Magagnoli, è intervenuta con un videocontributo anche Giovanna Frosini, docente di Storia della lingua italiana all’Università per Stranieri di Siena e componente del Comitato scientifico per la candidatura, che ha parlato di L’italiano del cibo. Le ragioni della candidatura sono state illustrate anche attraverso le testimonianze delle tre comunità promotrici, con interventi di Laila Tentoni di Fondazione Casa Artusi, della Direttrice de “La Cucina italiana” Maddalena Fossati e del Presidente onorario dell’Accademia italiana della cucina Giovanni Ballarini. Il seminario è stato sostenuto anche dalla Fondazione Parma UNESCO Creative City of Gastronomy, nata nel 2017 proprio a seguito della nomina di Parma a Città Creativa UNESCO per la Gastronomia, con l'obiettivo di diffondere la cultura legata al patrimonio enogastronomico di Parma, coinvolgendo istituzioni pubbliche e private, operatori economici e commerciali, e la popolazione del territorio cui questo patrimonio appartiene. È lo stesso intento con il quale la Fondazione supporta la candidatura della Cucina Italiana a patrimonio immateriale UNESCO. Massimo Spigaroli, presidente della Fondazione Parma UNESCO Creative City of Gastronomy, sottolinea: «Parma è stata la prima città italiana a essere nominata Città UNESCO per la Gastronomia, ed è seguendo questa importante designazione che vogliamo fortemente che la Cucina Italiana entri a far parte del palmarès UNESCO. Le eccellenze dello stivale sono i veri ambasciatori nel mondo del nostro Paese, dove il cibo non è solo nutrimento per il corpo, ma anche cultura, arte e tradizione».